AutoreSara Pontecorvo Archivi
Settembre 2020
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L’autrice Alessandra Lemma (2005) sostiene che il modo in cui ci rappresentiamo mentalmente il nostro corpo dipende non soltanto dalla nostra effettiva anatomia, ma anche dal modo in cui il corpo è sperimentato nella relazione con l’altro e da come è visto dall’altro. Ma non solo, il nostro immaginario corporeo, può anche raccontare la storia di diverse generazioni, cioè dell’immaginario corporeo delle nostre madri, e a loro volta delle loro madri e così via. Dunque, il modo in cui ci vediamo dipende da come il corpo è stato sperimentato nelle relazioni primarie nei primi anni di vita (madre, padre, nonni, ecc.) e da come è stato visto da queste figure. Ma cos’è l’immagine corporea? Secondo Schilder “è il ritratto del nostro corpo che formiamo nella nostra mente, cioè il modo in cui il nostro corpo appare ai nostri occhi” (1950, pag.11). Come ben sappiamo il rapporto con l’immagine che abbiamo del nostro corpo in alcuni casi può essere molto complesso e portare a sofferenza. Si pensi per esempio al dismorfismo corporeo dove l’individuo soffre per – e odia intensamente – una o più parti del suo corpo, e ciò gli impedisce di vivere liberamente il proprio corpo e la propria vita. Oppure si pensi al corpo costantemente deprivato della persona anoressica che nonostante la sua magrezza, continua a percepirsi come “grassa/o”. Ma anche a tutte quelle pratiche rivolte e modificare, a volte cambiandolo del tutto, un corpo ripudiato e non accettato. Ma come si forma questo ritratto corporeo? Come può essere che il modo in cui ci rappresentiamo il nostro corpo dipenda dall’altro? Come già accennato, questo avviene molto precocemente, nei primi tre anni di vita, quando le prime esperienze fisiche di interazione con altre persone che posso confermare o respingere il corpo del bambino (per esempio, quelle tra una mamma e il suo bambino, il modo in cui lo tiene, in cui lo guarda ecc.). Le numerosi interazioni che il bambino sperimenterà entreranno a far parte della sua memoria implicita (quindi non consapevole) attraverso delle rappresentazioni che a loro volta porranno le basi per come il bambino sperimenterà il proprio corpo e su come si vedrà. Fondamentale in questo senso è il ruolo della figura paterna che potrà porsi come figura “terza” rispetto alla madre e quindi fornire al piccolo un’altra visione di sé stesso. Dott.ssa Sara Pontecorvo Bibliografia
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