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Settembre 2020
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Sensibilità al rifiuto7/5/2020 Origine, caratteristiche e gestioneCari lettori,
Oggi vorrei parlarvi della sensibilità al rifiuto. Nelle nostre esperienze di vita può essere capitato a ciascuno di noi di sentirsi rifiutato, magari da bambino quando voleva stringere amicizia con un gruppetto di altri bambini oppure da un partner, da un colloquio di lavoro, da un amico o da un gruppo. Talvolta queste esperienze sono particolarmente dolorose, ma pensate a quando queste sono ripetute nel tempo. E se i primi e ripetuti rifiuti fossero arrivati proprio da chi si è preso cura di noi? Come impatta sulle nostre successive relazioni? Naturalmente non dobbiamo dimenticarci anche del ruolo che rivestono o che hanno rivestito le esperienze fra pari in adolescenza perché è proprio in questa fase caratteristica che il rifiuto o l’accettazione hanno un ruolo pregnante. Downey e Feldman (1996) hanno elaborato proprio il costrutto di “sensibilità al rifiuto” per spiegare il motivo per il quale le persone che hanno avuto esperienza ripetute di rifiuto a partire dai propri caregiver, abbiano poi delle difficoltà nelle relazioni successive. Quando una persona subisce rifiuti ripetuti, infatti, soprattutto nelle prime relazioni con i propri genitori o caregiver allora è probabile che questi abbiano degli effetti a lungo termine influenzando lo sviluppo emotivo e cognitivo. In che modo?
Una profezia che si auto-avvera La sensibilità al rifiuto dunque definisce la tendenza a dare eccessivo peso o a reagire esageratamente ai segnali di rifiuto delle persone. In un certo senso la persona si aspetta di essere rifiutata, ma questa aspettativa spesso è associata ad un bias (errore) nella percezione dei segnali di rifiuto. Questa ipersensibilità al rifiuto può generare un circolo vizioso relazionale dove spesso la persona attira effettivi rifiuti: se ci si aspetta di essere rifiutati, ci si può tenere distanti dagli altri e questo tendenzialmente porta gli altri a rispondere con altrettanta distanza, ma nella persona ipersensibile al rifiuto questo comportamento dell’altro viene visto come la prova di non accettazione e conduce a una maggiore chiusura relazionale. Due tipologie di reazioni difensive al rifiuto Secondo Downey, Lebolt, Rincòn et al. (1998) esistono due modalità che le persone “sensibili al rifiuto” possono utilizzare: a) ansiosa b) aggressiva Altri studi inoltre, hanno riscontrato che le persone che utilizzano la modalità ansiosa sono più propense sviluppare una sintomatologia “internalizzante” cioè esprimere il proprio disagio e la propria sofferenza psichica attraverso manifestazioni rivolte all’interno, come per esempio, ansia, depressione, somatizzazioni, ritiro sociale. Le persone che invece utilizzano la modalità aggressiva utilizzano maggiormente la modalità “esternalizzante” che significa esprimere il proprio disagio e la propria sofferenza attraverso comportamenti rivolti all’esterno e provocando una situazione di difficoltà e disturbo nell’ambiente come per esempio nei disturbi del comportamento (ADHD, disturbo oppositivo-provocatorio ecc.) Fattori protettivi in adolescenza Secondo lo studio di Grazia e Molinari del 2018, è possibile che il sentimento di appartenenza all’interno del contesto scolastico funga da fattore protettivo e dunque maggiore è questo sentimento minore è la sensibilità al rifiuto. Secondo le autrici dunque è importante che gli studenti si sentano coinvolti nella vita di classe così che questo possa mitigare, qualora emergenti, gli stati ansiosi dovuti al confronto con i pari. Altri studi (London, Dowey e Mace, 2007) hanno dimostrato che il senso di agency degli studenti è collegato alla sicurezza nelle interazioni con i pari, a una maggiore apertura e dunque ad avere una maggiore fiducia e propositività verso gli altri. Come gestire la paura del rifiuto Quando ci troviamo di fronte a una potenziale situazione di rifiuto prendersi del tempo per riflettere sulle varie possibilità e spiegazioni che potrebbero indurre l’altra persona ad avere un atteggiamento rifiutante o distanziante. Prendersi del tempo anche per esplorare il ruolo che noi assumiamo all’interno della relazione e come il nostro comportamento potrebbe aver influenzato la situazione. Cercare di avvicinarsi agli altri, senza essere prevenuti, allargare per quanto possibile le proprie conoscenze e darsi la possibilità di esplorare differenti relazioni, gruppi e situazioni. Ricordarsi sempre che essere rifiutati non significa essere privi di valore, a volte un rifiuto non è collegato direttamente alla nostra persona. A presto! Dott.ssa Sara Pontecorvo Bibliografia
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Solitamente tutte le coppie, al di là che abbiano deciso di avere un figlio, affrontano dei continui aggiustamenti e delle riorganizzazioni dovute ai cambiamenti che si trovano ad affrontare durante la vita. Queste riorganizzazioni hanno lo scopo di mantenere la stabilità della coppia, ma anche la sua identità, ogni coppia infatti possiede un’identità propria data dall’incontro tra due individui. Cosa succede dunque nella coppia quando nasce un figlio? La coppia deve affrontare in un certo senso un “crisi” che però ha uno scopo evolutivo, è fisiologica e che impone appunto una riorganizzazione identitaria delle coppia e dei singoli partner. Questo significa che la coppia può presentare dei momenti difficili proprio in questo periodo, ma che questi non comportano per forza una rottura o una patologia. Impatto positivo avrà la flessibilità della coppia rispetto al cambiamento e all’inserimento di un terzo. I momenti difficili che la coppia può affrontare possono essere dovuti a una serie di aspetti: 1. Diventare genitori comporta modifiche nella propria identità: “Adesso sono una mamma”, “sono diventato papà”. Frasi che i genitori ripetono spesso con orgoglio, ma a volte anche con una certe diffidenza proprio per la novità e le difficoltà che il nuovo ruolo di genitore comporta. Quando nasce un figlio, nascono infatti anche due genitori. Questo non può che comportare delle modifiche nella nostra identità che deve includere anche “l’essere genitore” e tutto ciò che questo comporta nel bene o nel male. Va da sé che queste modifiche identitarie a volte possono farci sentire spaesati, insicuri e fragili. 2. Diventare genitori comporta il riattivarsi delle rappresentazioni interne dei nostri genitori (cioè come i nostri genitori si sono presi cura di noi). E’ possibile che i forti bisogni di cura e di dipendenza del neonato “riattivino” in ogni membro della coppia le rappresentazioni interne dei propri genitori in cui la persona si riconosce e quindi cerca di ripetere oppure non riconoscersi e dunque prenderne le distanze. La genitorialità può anche comportare un’opportunità per riprendere in mano situazioni problematiche della propria infanzia che possono essere rielaborate grazie al fatto di essere diventati genitori. 3. Diventare genitori comporta l’ingresso nella coppia di un “terzo”. L’ingresso di una terza persona può riattivare vissuti di esclusione, ma ci possono essere anche profondi coinvolgimenti che possono alternarsi nei vari momenti. Il passaggio dall’essere in due all’essere in tre può essere anche visto positivamente qualora i membri della coppia lo considerino come un rafforzamento e una dimostrazione del loro legame e come una conferma delle proprie capacità. 4. Diventare genitori comporta una riorganizzazione delle proprie abitudini La gravidanza, il parto, il post-parto e i primi mesi di vita del bambino mettono a confronto con un senso di perdita temporanea delle proprie abitudini e dei propri ritmi quotidiani che devono essere riadattati (sonno, alimentazione ecc.). Spesso la coppia deve affrontare anche un cambiamento nella sessualità dovuta naturalmente sia ai cambiamenti fisici e ormonali che il parto e il post-parto comporta sia anche a trovare dei momenti specifici per la coppia che è assorbita dalla cura del nuovo nato. Come affrontare dunque questo delicato periodo? È importante costruire gradualmente dei ritmi comuni che consentano a tutti un graduale riadattamento. Cercate dunque di essere flessibili l’uno verso l’altra e con il neonato. Venitevi incontro e supportatevi. Utilizzate le risorse che arrivano dall’ambiente per quanto possibile (nonni, zii, amici ecc.), che possono essere non solo un supporto concreto, ma anche un aiuto per sé stessi. Qui sotto troverete il video che ho girato per il Gruppo Supermamme di Sesto San Giovanni in collaborazione con OsteopaticaMente Sperando di essere stata utile, alla prossima! Dott.ssa Sara Pontecorvo |