AutoreSara Pontecorvo Archivi
Settembre 2020
Categorie
Tutto
|
Back to Blog
La rabbia al tempo del Covid-1930/3/2020 Cari lettori, come ben vi sarete accorti in questo difficilissimo periodo, non stiamo vivendo soltanto emozioni di paura, ma anche di rabbia.
La rabbia la possiamo leggere tra le righe sui Social Network, negli scambi tra persone, oppure a livelli più eclatanti la sentiamo sulle notizie di giornali o telegiornali, espressa attraverso vere e proprie esplosioni di violenza (si pensi a quanto è accaduto nelle carceri italiane o nella provincia dell’Hubei) o ancora la rabbia può essere diretta verso un terzo, un estraneo, lo Stato, il vicino di casa ecc. La rabbia può anche derivare da situazioni oggettive, le perdite, le limitazioni imposte. Ma perché succede questo? La rabbia, come la paura, è un’emozione legata all’istinto di sopravvivenza e quindi sentirsi arrabbiati fa parte anche del nostro bagaglio innato per gestire questa nuova situazione minacciosa. Quando ci si trova di fronte ad un pericolo una delle reazioni istintive può essere “l’attacco”. Dunque noi ora ci troviamo in effetti di fronte a un potenziale nemico, che però è invisibile e ci costringe a direzionare la nostra rabbia verso fonti conosciute. Chiaramente la rabbia non è un’emozione solamente negativa, avete mai fatto caso quando alcune volte, spinti dalla rabbia avete trovato una carica di energia che vi ha spinto poi a fare qualcosa che prima non riuscivate a fare? Non può essere invece considerata costruttiva quando viene espressa sotto forma di insulti o violenze, questo chiaramente è un attacco “a vuoto” e genera solo altra rabbia che non può esaurirsi, ma anzi si autoalimenta. Come possiamo fare dunque per gestire la nostra rabbia quando prende il sopravvento? 1. DIREZIONARE LE NOSTRE ENERGIE VERSO ATTIVITA’ CHE CI PIACCIONO Tutti noi abbiamo degli interessi che possiamo coltivare in questo periodo, spostare il focus sulle cose che ci piace fare aiuta a incanalare le nostre energie verso qualcosa di costruttivo e, al tempo stesso, ci aiuta a mitigare emozioni disturbanti. Può essere cucinare, dipingere, leggere, ascoltare musica, chiacchierare con un amico, curare le piante, ecc. Qualsiasi attività che ci fa stare bene 2. DIREZIONARE LA NOSTRA MENTE SU ALTRE STRADE Ognuno di noi ha un canale sensoriale privilegiato (uditivo, visivo, tattile ecc.). Allora individuando il vostro potreste usarlo e dedicare qualche minuto della giornata soltanto per voi stessi, meglio al mattino prima di iniziare o alla sera prima di addormentarsi, per dare un avvio e una chiusura positiva alla nostra quarantena. O Comunque al bisogno, quando le emozioni negative prendono il sopravvento. Per chi è più sul canale visivo: si possono utilizzare immagini già definite, fotografie oppure si può provare a immaginare qualcosa che ci fa star bene, ricordi belli. Per chi è più orientato al canale uditivo: ascoltare della musica oppure provare a farla suonare dentro di noi. Per chi è orientato sul canale tattile: Toccare degli oggetti che sono legati a momenti piacevoli o tenere in mano e osservare qualcosa che ci rimanda sensazioni positive. Non dimenticatevi di associare il tutto alla respirazione! Potete trovare alcuni esercizi proprio nella pagina Facebook dello studio in cui collaboro: OsteopaticaMente https://www.facebook.com/OsteopaticaMenteSesto. 3. PRENDERSI IL TEMPO PER RIFLETTERE La rabbia è istintiva, non è associata alla riflessività, perché appunto, come già detto, richiede immediatezza di riflessi, di pensiero. Dunque il pensiero associato alla rabbia è impulsivo e spesso ci può portare a giudizi affrettati o a compiere azioni irrazionali. Per questo, potrebbe essere utile, quando pervasi da pensieri rabbiosi o sentimenti di rabbia prendersi del tempo per riflettere. Per esempio, si potrebbe provare cercare a immaginarsi nei panni dell’oggetto della nostra rabbia e pensare al perché ha fatto così o sta facendo così pulendo il campo da ogni giudizio. Sperando di esservi stata utile, resto a disposizione per chi ne avesse bisogno. Prossimamente: “la tristezza ai tempi del Covid-19”. Sara Pontecorvo- Psicologa
0 Commenti
read more
Back to Blog
La paura al tempo del COVID-1930/3/2020 In questo periodo legato all’arrivo nel nostro paese del Covid-19, stiamo sperimentando una situazione mai vissuta prima. Cambiamenti drastici nelle nostre abitudini, permanenze nelle nostre abitazioni, paura per i nostri cari e per noi, paura per il presente e per il futuro, per il lavoro, per l’economia, sofferenza per chi non c’è più e per chi sta lavorando sul fronte. Questo indubbiamente può minare le nostre sicurezze, ci tiene in tensione, ma più di tutto ci spaventa perché siamo di fronte a un nemico invisibile di cui ancora non conosciamo tutti gli aspetti.
La paura dunque è l’emozione su cui mi vorrei soffermare, proprio perché penso stia toccando ognuno di noi in modi diversi. Abbiamo visto come più volte nel corso di queste settimane ci sono stati dei comportamenti collettivi dettati proprio dalla paura. Questo sembra si stia ripresentando anche negli altri paesi, che stanno iniziando a vivere ora quello che da noi è avvenuto circa tre settimane fa. Tutto questo fa pensare che la presenza di questo nemico invisibile possa attivare delle angosce individuali e collettive che portano a compiere delle decisioni dettate proprio dalla paura, che si trasforma in panico. La paura di per sé non è un sentimento negativo perché ci consente di prevenire i pericoli, ma se diventa sproporzionata rispetto ai rischi oggettivi derivanti dal pericolo, allora può diventare panico e portarci a compiere delle decisioni impulsive, non razionali. Come si può fare per cercare di non farsi sopraffare dalla paura (e dallo sconforto) in questo periodo? 1. La via di mezzo è sempre la strada corretta. È molto proficuo cercare un equilibrio tra l’idea che “niente sarà più come prima” e l’idea che “non sta succedendo niente”. Un comportamento utile, in tal senso, potrebbe essere quello di prendere le proprie informazioni utilizzando sempre delle fonti affidabili, dati scientifici appoggiati da numeri statistici che aiutano a costruirsi un’idea più precisa di quello che sta succedendo. A volte in rete circolano articoli e video che trasmettono molta angoscia e che spesso si rivelano anche non veritieri. Questo non fa altro che aumentare i pensieri negativi e non ci permette di valutare la situazione realisticamente. Valutare anche di ascoltare o leggere le notizie qualche volta al giorno, senza restarvi immersi continuamente. 2. Vivere giorno per giorno. Il cambiamento c’è, ed essendo così forte, necessita di più tempo per essere elaborato. Le nostre routine, i nostri impegni ci danno equilibrio e sicurezza, ma adesso, senza di essi ci possiamo trovare spaesati, indifesi e sommersi da preoccupazioni e paura. Credo che sia utile allora cercare di darsi il tempo necessario per accettare questo cambiamento temporaneo nelle nostre vite e lentamente riorganizzarsi. Per fare questo possono aiutarci anche dei piccoli gesti quotidiani, delle piccole routine (come preparare delle pietanze per i nostri familiari, ritagliarsi un momento per fare qualcosa che ci piace, prenderci cura del nostro corpo ecc.) che ci fanno sentire attivi e ci danno delle sicurezze. 3. Attingiamo alle nostre risorse. Ognuno di noi ha delle risorse dentro di sé che possono attivarsi anche nei momenti più difficili come questi, nonostante la paura, il panico, lo sconforto, questo è bene ricordarlo sempre. Si può approfittare del tempo in più a disposizione per fare magari qualcosa che avevamo lasciato in sospeso o che ci sarebbe piaciuto fare da tempo. Sperando di essere stata utile, resto a disposizione per ogni eventuale dubbio o paura. Dott.ssa Sara Pontecorvo.
Back to Blog
Grovigli di affetti in adolescenza30/3/2020 L’adolescenza può caratterizzarsi come un periodo tumultuoso, proprio perché avvengono imponenti trasformazioni che coinvolgono molteplici aspetti: biologici, cognitivi, ma anche sociali e familiari. Attraverso questo lungo processo l’adolescente progressivamente apprende e diventa consapevole di sé stesso, delle proprie caratteristiche specifiche, così come dei propri limiti. All’interno di questo processo di definizione di sé stesso l’adolescente si trova anche alle prese con, quelli che Eugenia Pelanda definisce come “grovigli di affetti” che possono comportare dolore psichico poiché minacciano il suo senso di benessere e di sicurezza e che possono essere difficili da distinguere l’uno dall’altro. Uno tra questi è la vergogna, che generalmente è collegata al concetto del “nascondersi” e richiama l’essere visti, scoperti rispetto a qualcosa di sé che viene ritenuto come debole, difettoso o sporco. Si tratta dunque di sentimenti che hanno radice nel sentire sé stessi come non adeguati o incapaci di utilizzare al meglio le proprie competenze. Per esempio, la vergogna di un adolescente che viene preso in giro dai compagni per i suoi risultati scolastici. L’altro sentimento che può presentarsi è la mortificazione cioè l’insieme dei sentimenti che nascono dal sentirsi privi di competenze e di conseguenza si attiva una delusione derivante dal non essere riusciti a raggiungere quelle competenze supposte dall’adolescente stesso o attribuite da altri. Si tratta di un sentimento che affonda le sue radici nel rapporto tra il bambino e il genitore, nel momento in cui viene mortificato quando le sue competenze non sono adeguate. Ciò però, può essere “vivificante” e fonte di crescita, se la delusione viene manifestata affettuosamente stimolandolo al raggiungimento di tali competenze. In ultimo, posso essere presenti sentimenti di inferiorità che esprimono lo “scarto tra la rappresentazione del sé reale e la rappresentazione ideale di sé” (ibidem, pp. 59). Se queste due rappresentazioni non si discostano molto l’una dall’altra, questo può portare a crescita e cambiamento. Quando però sono molto distanti allora l’individuo potrebbe non sentirsi amato poiché solo la sua rappresentazione ideale lo è. Questi affetti, sono considerati come fisiologici in adolescenza entro certi confini e hanno una notevole influenza nella regolazione del rapporto con gli altri, ma anche nello sviluppare con piacere nuovi apprendimenti. Se il ragazzo trova adulti in grado di attribuire a questi affetti il corretto senso e valore allora questi possono essere gestiti e superati senza eccessiva sofferenza. Dott.ssa Sara Pontecorvo Bibliografia
Back to Blog
L’autrice Alessandra Lemma (2005) sostiene che il modo in cui ci rappresentiamo mentalmente il nostro corpo dipende non soltanto dalla nostra effettiva anatomia, ma anche dal modo in cui il corpo è sperimentato nella relazione con l’altro e da come è visto dall’altro. Ma non solo, il nostro immaginario corporeo, può anche raccontare la storia di diverse generazioni, cioè dell’immaginario corporeo delle nostre madri, e a loro volta delle loro madri e così via. Dunque, il modo in cui ci vediamo dipende da come il corpo è stato sperimentato nelle relazioni primarie nei primi anni di vita (madre, padre, nonni, ecc.) e da come è stato visto da queste figure. Ma cos’è l’immagine corporea? Secondo Schilder “è il ritratto del nostro corpo che formiamo nella nostra mente, cioè il modo in cui il nostro corpo appare ai nostri occhi” (1950, pag.11). Come ben sappiamo il rapporto con l’immagine che abbiamo del nostro corpo in alcuni casi può essere molto complesso e portare a sofferenza. Si pensi per esempio al dismorfismo corporeo dove l’individuo soffre per – e odia intensamente – una o più parti del suo corpo, e ciò gli impedisce di vivere liberamente il proprio corpo e la propria vita. Oppure si pensi al corpo costantemente deprivato della persona anoressica che nonostante la sua magrezza, continua a percepirsi come “grassa/o”. Ma anche a tutte quelle pratiche rivolte e modificare, a volte cambiandolo del tutto, un corpo ripudiato e non accettato. Ma come si forma questo ritratto corporeo? Come può essere che il modo in cui ci rappresentiamo il nostro corpo dipenda dall’altro? Come già accennato, questo avviene molto precocemente, nei primi tre anni di vita, quando le prime esperienze fisiche di interazione con altre persone che posso confermare o respingere il corpo del bambino (per esempio, quelle tra una mamma e il suo bambino, il modo in cui lo tiene, in cui lo guarda ecc.). Le numerosi interazioni che il bambino sperimenterà entreranno a far parte della sua memoria implicita (quindi non consapevole) attraverso delle rappresentazioni che a loro volta porranno le basi per come il bambino sperimenterà il proprio corpo e su come si vedrà. Fondamentale in questo senso è il ruolo della figura paterna che potrà porsi come figura “terza” rispetto alla madre e quindi fornire al piccolo un’altra visione di sé stesso. Dott.ssa Sara Pontecorvo Bibliografia
Back to Blog
In questo articolo si cercherà di descrivere l’utilità che può avere l’immaginario Anime/Manga per l’adolescente. L’adolescenza è un periodo fortemente trasformativo dal punto di vista corporeo e psichico. Queste trasformazioni avvengono in modo lento e discontinuo comportando una nuova organizzazione dell’immagine di sé e del proprio ruolo nella famiglia e nella società. L’adolescenza porta infatti con sé una serie di “compiti evolutivi” tra i quali appunto, la separazione dai genitori e l’individuazione di sé (cioè il raggiungere una certa consapevolezza di sé, dei propri desideri, bisogni e del proprio posto nel mondo). Non sempre questo processo è indolore. L’adolescente si trova ad affrontare prove di crescita, difficoltà, costantemente deve cercare nuove soluzioni e cerca di adattarsi, per come gli è possibile, a tutti questi tumultuosi cambiamenti. Ed è proprio in questa specifica fase evolutiva che i Manga diventano una potente attrattiva per l’adolescente, proprio perché può riconoscersi nei personaggi che si stanno confrontando con i suoi stessi compiti evolutivi. Nei Manga, cioè i tipici fumetti giapponesi, sono rappresentate storie di personaggi che sono quotidianamente alle prese con una serie di problemi da risolvere, che vivono i tormenti e le delusioni tipiche dell’adolescente, le trasformazioni corporee, la scuola, ma in cui sono presenti anche creature fantastiche, aspetti soprannaturali, senza escludere la presenza di erotismo, tutti aspetti che interessano al giovane adolescente. Anche negli Anime, cioè la versione animata – quindi quello che in Italia viene definito “cartone animato” – vi sono sempre dei personaggi alle prese con la crescita e il difficile cambiamento che essa comporta. Si pensi per esempio a “Naruto”, giovane adolescente del villaggio della foglia con il sogno di diventare Hokage, ovvero il capo saggio e anziano del villaggio, ma che si trova solo al mondo e che viene deriso e messo da parte dagli altri abitanti perché dentro di lui vi è un demone, il demone della volpe a nove code. Un personaggio che non smette mai di lottare nonostante le avversità e che dovrà entrare dentro sé stesso, conoscere il suo demone, riuscire a diventarne suo amico per rinascere e per avere pieno possesso di tutta la sua forza. Nell’ultimo periodo inoltre gli Anime e i Manga che attraggono il pubblico giovanile spesso si tingono di tetro, hanno come protagonisti personaggi oscuri, killer, persone senza emozioni, senza memoria, ma al tempo stesso fragili, un po’ come a mostrare il ritratto dell’adolescente di oggi descritto da alcuni psicoanalisti (per esempio, “fragile e spavaldo” di Gustavo Pietropolli Charmet). Quindi l’immaginario Anime/Manga è un buon modo per l’adolescente per riconoscersi ed entrare a contatto con le parti più profonde di sè – le sue emozioni, le aspirazioni, gli aspetti di sé riconosciuti e aspetti di sé rinnegati – attraverso una storia che può durare anche molti anni e con cui si crea un forte legame emotivo. Dott.ssa Sara Pontecorvo Bibliografia
|